Il commento all’ordinanza della Cassazione n. 24893 del 21 agosto 2023
Il caso oggetto dell’ordinanza in commento consiste in un sinistro mortale abbastanza complesso che vede coinvolto, tra gli altri, un veicolo ignoto e l’impresa designata dal Fondo di garanzia.
Il nucleo della decisione che maggiormente interessa, riguarda la definizione e l’inquadramento giuridico della cd. mala gestio assicurativa.
Nello specifico, la società designata dal Fondo viene condannata in primo grado con sentenza parzialmente confermata in secondo grado e quindi impugnata in Cassazione; la materia del contendere è la responsabilità extra-massimale dell’assicuratore.
Travalicando il caso concreto e l’esame dettagliato dei calcoli per determinare l’importo del risarcimento, la penna del relatore Marco Rossetti, brillante e preciso come al solito, traccia un contorno dell’istituto incastonato tra definizione da manuale di diritto e illustri precedenti della giurisprudenza di legittimità.
La società assicurativa veniva condannata al pagamento di una somma ultra massimale tra sorta capitale e interessi moratori a causa di mala gestio cd. impropria: la condanna comprendeva, infatti, sia il danno che l’impresa designata era tenuta a corrispondere in quanto garante dei danni causati dal veicolo sconosciuto (somma che rimaneva nel massimale) sia il danno cagionato al danneggiato per il ritardo nel pagamento dell’importo liquidato (che andava oltre il massimale).
Su tale ultimo punto perciò la società proponeva ricorso in Cassazione, affidando le sue lagnanze a due motivi, il secondo dei quali proviamo qui ad esaminare.
La decisione si distingue per la chiarezza con la quale viene ripercorso l’iter giuridico che porta a descrivere i requisiti della mala gestio assicurativa, muovendosi tra inesattezze e improprietà terminologiche del linguaggio comune che talvolta contamina quello giuridico (l’estensore non manca di sottolineare garbatamente che se anche la Corte d’appello si è espressa impropriamente, la sua pronuncia era corretta).
Leggiamo le lucide parole che descrivono la situazione:
«La mora debendi dell’assicuratore della r.c.a. nei confronti del terzo danneggiato è spesso designata nella prassi forense e giudiziaria “mala gestio impropria”: ma deve essere ben chiaro che questa espressione è puramente convenzionale e, essa sì, “impropria”. Infatti una “cattiva gestione” degli interessi altrui è concepibile unicamente nel rapporto tra assicurato ed assicuratore. Solo nell’ambito di questo rapporto è ipotizzabile una condotta colposa consistente nella malaccorta gestione degli interessi altrui. Per questa ragione nel rapporto tra assicurato ed assicuratore mora e mala gestio sono concetti non coincidenti: la mora è l’effetto dell’inadempimento d’una obbligazione di dare; la mala gestio è invece l’inadempimento di una obbligazione di fare (la cura degli interessi dell’assicurato) (…) Nel rapporto tra assicuratore della r.c.a. e danneggiato, per contro, l’assicuratore assume la veste di debitore, non di mandatario o gestore di affari altrui».
Alla luce di questo principio, emerge quindi che il ritardo dell’assicuratore nel risarcire il danno al danneggiato non è vera e propria mala gestio bensì semplicemente mora del debitore con le conseguenze dell’art. 1224 cc secondo il quale in caso di ritardo nell’adempimento di una obbligazione pecuniaria “sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali” (comma 1) oltre il danno ulteriore. Detti importi dunque sono solo interessi o danno ulteriore, mai sorta capitale e, pertanto, si giustifica il pagamento di somme oltre massimale (si rinvia a due noti precedenti della Cass: sez. 3, sent. 10725/2003; sez. 6, ord. 8676/2022)
«Pertanto (…) l’assicuratore in mora nel pagamento dell’intero massimale sarà tenuto a sopportare gli effetti della mora stessa senza limiti di sorta” (da ultimo, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8676 del 17/03/2022, Rv. 664608 – 01, ed ivi gli ulteriori riferimenti)»
Ecco dunque la puntualizzazione anche terminologica dell’estensore:
«Che poi la condanna dell’assicuratore al pagamento di interessi e rivalutazione il Tribunale l’abbia chiamata (correttamente) “mora”, e la Corte d’appello l’abbia chiamata (equivocando) “mala gestio” (così il § 2.5 della sentenza d’appello), questa è una questione solo nominalistica, che non muta la sostanza».
Nel merito, la sentenza precisa ancora più chiaramente che gli interessi compensativi sono sempre dovuti dall’assicuratore al terzo danneggiato anche oltre il massimale perché sono una conseguenza della mora dell’assicuratore e non del fatto illecito altrui.
«Infatti quando l’assicuratore della r.c.a. sia tenuto al pagamento dell’intero massimale, e non adempia nei termini di legge, non può ovviamente più pretendere che le conseguenze della sua mora restino contenute nel limite del massimale. Quel limite, infatti, concerne una garanzia per fatto altrui, e cioè il risarcimento del danno causato dall’assicurato. Ma se l’assicuratore della r.c.a. debba versare alla vittima l’intero massimale e non lo faccia nei termini di legge, tale ritardo sarà imputabile a lui, non al fatto dell’assicurato».
In tale ultimo caso, infatti, le conseguenze della mora scaturiscono dall’inadempimento dell’assicuratore e non dall’illecito dell’assicurato.
In virtù di quanto detto, la Corte rigetta il ricorso e condanna alle spese.
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